SONO (SOLO) CANZONETTE?
Può una canzone essere qualcosa di più di un prodotto da consumare e poi gettare? E può esistere una vera distinzione tra musica di consumo e musica cosiddetta "d'arte"? A questa e a tante altre domande tenterò di dare una (im)possibile risposta in un dialogo virtuale tra le varie voci della canzone italiana, che pur pagando un debito rispetto alla musica anglosassone, vera protagonista delle vicende musicali degli ultimi sessant'anni, si è ritagliata un ruolo di tutto rispetto e di alto valore musicale e letterario. Una vicenda singolare quella della canzone italiana, che parte da molto lontano, dalla tradizione vocale partenopea, che ha saputo però nel tempo maturare ed elaborare linguaggi moderni e molto diversi tra loro, e che si è distinta anche per l'alto valore poetico di alcuni dei suoi protagonisti. Dai cloni delle star inglesi ed americani, attraverso l'epopea dei cantautori fino all'esplosione di un "italian style" e di un "rock mediterraneo" che invade i mercati di tutto il mondo. In particolare la mia attenzione è rivolta quegli autori italiani che hanno offerto un contributo poetico-letterario di livello superiore, a nobilitare la tanto bistrattata "forma canzone", forma quanto mai nobile nel passato letterario di questo Paese, e che i cosiddetti “amanti della musica colta” spesso non ne colgono la profondità, pur celata in melodie semplici ed orecchiabili.
Il titolo - Sono (solo) canzonette? - prende le mosse da un noto brano di Edoardo Bennato, scritto in aperta polemica politica, che io ho adattato con un doppio senso, a partire dal punto interrogativo e dal "solo" tra parentesi. Sono veramente solo “canzonette” oppure, come spesso accade, sotto una apparente superficialità rivela una profondità che ha nell'immediatezza la sua migliore qualità. Al contrario la forma semplice ha permesso a molti autori di elevare il testo a poesia pura, come dimostra anche il recente Premio Nobel dato ad un cantastorie come Bob Dylan.