top of page

Musica e Dislessia

Cosa accade nella mente di un genitore quando scopre che il suo bambino apparentemente sveglio e intelligente mostra gravi problemi di lettura o di scrittura e in che misura queste difficoltà condizionano l’intera vita di una persona? Quali comportamenti e strategie devono essere attuati poi da un insegnante che si trova di fronte a un allievo con una difficoltà così specifica di apprendimento? La dislessia è una particolare difficoltà a interpretare il significato convenzionale dei simboli grafici e a tradurlo in suono, in pratica vi è un disturbo che impedisce la lettura ad alta voce che oltrepassa il comune ritardo nella lettura; è un problema congenito, ereditario, che si manifesta all’inizio del processo d’apprendimento.

 

L’incapacità di pronunciare una parola non familiare, con tendenza a tirare a indovinare la sua struttura fonetica (p.es. robelosco invece di rocambolesco) o lo scambio di consonanti simili (dente/pende, lima/rima), l’inesatta pronuncia di vocali (dal per del, bomba per bimba) e consonanti (rane per rame, pino per tino), l’inversione speculare di lettere (bue per due, bere per pere) oppure dell’intera parola (alle per ella), ne costituiscono alcuni tratti tipici. Imparare a leggere è relativamente facile, tanto che il primo anno di scuola primaria viene considerato il tempo necessario per leggere il 96% del lessico italiano; in più la lettura diventa automatica e difficilmente si disimpara. Il ritardo nell’acquisizione dell’abilità della lettura viene molto spesso scambiato per svogliatezza, pigrizia, ostilità nei confronti della scuola o dello studio in generale dato che il bambino dislessico non presenta nessun deficit mentale né neurologico, anzi spesso ha un quoziente d’intelligenza uguale o superiore alla media; la diagnosi precoce è pertanto molto difficoltosa e spesso giunge solo alla fine del primo ciclo di elementari.

 

Nonostante il 5% della popolazione italiana ne sia interessata, da noi l’attenzione sul problema è molto più recente che nel mondo anglosassone (in Gran Bretagna la percentuale è circa il 7%); questo per le proprietà fonologiche della nostra lingua, dove più facilmente vocali e consonanti si pronunciano così come sono scritte; l’inglese (e in misura minore anche il francese) ha un’ortografia molto più complessa: parole diverse si pronunciano allo stesso modo, mentre anche le vocali mutano suono secondo dove sono collocate. Un bambino di lingua inglese impiega pertanto più tempo di un coetaneo italiano ad assimilare un vocabolario di base, cosa che da un lato impedisce di diagnosticare la dislessia più precocemente, dall’altro a subirne meno gli effetti negativi. Enrico Profumo, primario di Neuropsichiatria Infantile all’Ospedale San Paolo di Milano, che da molto tempo si occupa del problema, afferma che l’inglese è «la morte dei dislessici italiani!». Per comprendere la dislessia bisogna andare alle fonti del processo neurologico della lettura. Non esistendo un centro cerebrale specifico per la lettura, le cause del disturbo sono da ricercare in un difetto nella capacità di programmazione della parola parlata, quella che i linguisti chiamano «consapevolezza fonologica». A questo si può aggiungere anche un problema visivo che impedisce di mettere a fuoco ciò che si dovrebbe guardare. Uno studio dell’Università di Cambridge sostiene che l’ordine delle lettere all’interno di una parola non ha importanza a patto che la prima e l’ultima siano al posto giusto, anche se le lettere sono alla rinfusa. Decisivo è anche il significato della frase, dove una parola scritta erroneamente, come in un refuso di stampa, è codificata però nel modo corretto. Per il dislessico questo, semplicemente, non avviene se non con un livello d’attenzione molto più alto di quello necessario agli altri per non sbagliare, che a sua volta causa lentezza nello scrivere ancora più grave dell’errore di scrittura e anche un’eccessiva stanchezza, che viene scambiata spesso per indolenza.

 

Questo spiega perché sia così difficile per un genitore accettare questa condizione: per ognuno di noi è “naturale” imparare a parlare, camminare, esprimersi col corpo e con i gesti, e ciò è vero in quanto la stragrande maggioranza dei bambini raggiunge questi obiettivi nei tempi normali dello sviluppo, non essendo necessarie doti particolari per questo tipo di apprendimento. Teoria inadeguata, in realtà questa, poiché proprio in virtù di un’intelligenza “normale”, il dislessico riesce a comprendere tutto pur continuando a leggere faticosamente. Un luogo comune piuttosto diffuso è che il problema sia compensato dalla presenza di qualche altro talento speciale, per le arti o per la creatività in genere; invece gli oggetti della scrittura musicale sono tra quelli che possono influenzare negativamente. Infatti, pur avendo solamente sette “sillabe” per denominare i suoni, o le lettere da A a G come nel mondo anglofono, il sistema della notazione ha una forte connotazione spaziale rappresentata dal pentagramma, e il fatto che si possa scrivere la stessa nota in diverse posizioni usando chiavi diverse, oppure che con lo stesso nome si abbiano suoni con altezze diverse, crea confusione. Esistono poi altri segni che modificano le note, come le alterazioni, o la diversa forma secondo la loro durata, che rende il “sistema notazione” più complesso di quello che non si crede anche in chi non ha problemi di nessun genere.

 

La lettura rapida di un brano scritto (musicale o non) prevede l’uso della memoria a lungo termine, una sorta di “magazzino” dove sono contenute le conoscenze degli oggetti ed il loro nome, o le regole (della grammatica come della notazione) ma anche di quella a breve termine, che in musica significa ripetere una sequenza subito dopo averla letta una prima volta. Inoltre è richiesto di tradurre tutto in un atto motorio, produrre un suono. Per chi ha problemi con la lettura, è facilmente intuibile la difficoltà di richiamare “al volo” il tipo di nota da eseguire, associandone la posizione sul pentagramma e il nome corretto. John Westcombe che insieme a Thomas Richard Miles è autore del libro Musica e dislessia. Aprire nuove porte curato da Matilde Bufano per l’editore Rugginenti – che al momento è l’unico testo in lingua italiana ad affrontare questo tema, descrive così la condizione di un cantante dislessico: «mi occorre molto tempo per assimilare le note ed è ancora più difficile richiamarle alla memoria»; il problema si supera se il pianista accompagnatore gli suona la melodia più volte, oppure disseminando di annotazioni lo spartito, oppure suonando al pianoforte mentre si canta. Viceversa per uno strumentista può essere d’aiuto cantare mentre ci si accompagna al pianoforte, oppure studiando a fondo il testo senza lo strumento, immaginandone l’esecuzione futura, la quale poi avviene a memoria; altri ascoltando più volte l’insegnante ne “copiavano” il gesto, alcuni mentre fingevano di leggere lo spartito! 

 

Alla domanda «la musica “può” essere una cura per la dislessia?», gli autori rispondono che il quesito è mal posto. Si è visto che è una condizione che aggrava alcuni aspetti dello studio della musica come la lettura della partitura, o la memorizzazione di sequenze musicali appena ascoltate, ma che inaspettatamente ne favorisce altri. Dalle storie raccontate nel volume, dove i protagonisti spesso sono musicisti, alcuni anche professionisti, emerge infatti un tratto comune, la consapevolezza del contenuto emozionale della musica, il senso dell’espressione che attraverso il contatto fisico con lo strumento arriva al suono, come nella pratica del canto corale o nell’improvvisazione jazzistica. Alcuni mostrano uno spiccato senso per le altezze e per l’intonazione degli strumenti, altri ancora uno straordinario talento ritmico, anzi secondo uno dei protagonisti del libro (e anche di chi scrive) insegnare il ritmo prima di imparare a leggere potrebbe aiutare chiunque nel compito di affrontare le parole più lunghe, tanto più il dislessico, come confermato dagli studi neurologici sul linguaggio. Importante, per molti, la ricerca del suono “puro”, suonando a occhi chiusi o, nel caso di una pianista, con il tappetino a nascondere i tasti (come faceva Mozart, anche se solo per stupire). La pratica musicale sviluppa l’autostima e la voglia di superare le difficoltà. Essere dislessici non impedisce di diventare eccellenti musicisti. Nel libro è descritto anche uno strumento didattico, il “pentagramma colorato” che è anche un kit di materiali: si basa sul principio che a ogni linea e spazio del pentagramma siano associati sette colori diversi, come il numero delle note. Il sistema è in realtà costituito da undici linee, unione dei due righi tradizionali della scrittura pianistica (violino e basso) con l’aggiunta di una linea in mezzo (in nero) che corrisponde al do centrale del pianoforte. Completano il tutto dei tasselli colorati con stampati i nomi delle note, ovviamente dello stesso colore delle linee. L’obiettivo è quello di favorire l’associazione tra denominazione, posizione sul rigo e sullo strumento ed evitare ad esempio la cosiddetta “dislessia lineare”, una particolare difficoltà nel passare con esattezza da una riga alla sottostante, con l’aiuto del colore. Costruire lavagne magnetiche con pentagrammi vuoti su cui collocare le note sotto forma di magneti colorati è il primo passo per superare l’ostacolo rappresentato dalla scrittura musicale. Purtroppo la morte nel 2005 della sua ideatrice, Margareth Hubicki, ha impedito l’uscita di una nuova versione multimediale per computer e che al momento altri musicisti stanno approntando.

 

Com’è facile intuire, l’importanza di questo contributo risiede nella possibilità che uno strumento in grado di facilitare un qualsiasi apprendimento a un bambino dislessico venga esteso anche alla classe dei “normali”. Il pentagramma colorato permette di superare velocemente quello che per molti è un ostacolo iniziale, in virtù del fatto che il metodo va a fondo nell’essenza del sistema notazione. Lo psicologo Giacomo Stella, docente universitario e presidente del comitato professionale dell’Associazione Italiana Dislessia invita all’uso dei cosiddetti strumenti compensativi come il computer o le calcolatrici, non solo perché aiutano a limitare gli errori ma anche perché il primo permette con adeguati software di leggere con la cosiddetta sintesi vocale, un “aiutante” sonoro virtuale. Lo stesso Stella afferma, non senza un pizzico di provocazione, che nessuno nega l’esigenza di strumenti per aiutare chi ha un problema, come uno scivolo per chi è costretto in sedia a rotelle, ma che bisogna fare attenzione a non cadere nell’errore che oggi ci siano in giro più sedie a rotelle che nel passato perché esistono gli scivoli! Nessuno ovviamente nega un paio di occhiali a un bambino miope e la filosofia di quelli che sono gli strumenti compensativi, come può essere considerato il pentagramma colorato, è proprio quella di favorire “due buoni occhiali” al dislessico. Stella propone il termine “educazione speciale”, che prevede l’acquisizione di abilità mai possedute, opposto a quello di “riabilitazione”, che vale come “riappropriarsi di abilità già possedute”, dato che il “punto d’arrivo” cioè il momento in cui la terapia può considerarsi conclusa, non arriva mai (dalla dislessia non si “guarisce”).

 

Chi “da grande” ha fatto della musica la sua professione ha imparato a convivere con la dislessia, grazie alla propria determinazione ma anche a insegnanti sensibili, che si preoccupano più delle modalità con cui si impara che della valutazione, come invece accade troppo spesso nella realtà scolastica italiana, dalle scuole secondarie fino ai Conservatori. La persistenza del disturbo nell’età adulta, infatti, può creare una sorta di barriera invisibile, alla stregua di una qualsiasi altra disabilità. Per un individuo “in formazione” il ruolo della scuola è quello di evitare di porre ostacoli che limitino la libertà e l’uguaglianza, fornendo pari opportunità e didattiche adeguate, ma anche evitare situazioni in cui l’insegnante è spesso il primo ad accorgersi di un problema ma non ha poi gli strumenti per la sua risoluzione.

© 2016 by Andrea Bellini. Sito creato con Wix.com

 FOLLOW ME & CONTACTS: 
  • Facebook Social Icon
  • Grey Google+ Icon
  • YouTube Social  Icon
  • SoundCloud Social Icon
  • Grey Instagram Icon
bottom of page